“Jasper Gwyn mi ha insegnato che non siamo personaggi, siamo storie, disse Rebecca. Ci fermiamo all’idea di essere un personaggio impegnato in chissà quale avventura, anche semplicissima, ma quel che dovremmo capire è che noi siamo tutta la storia, non solo quel personaggio. Siamo il bosco dove cammina, il cattivo che lo frega, il casino che c’è attorno, tutta la gente che passa, il colore delle cose, i rumori”.

Con il suo stile ormai unico ed inconfondibile, Baricco narra la storia di Jasper Gwyn, un noto scrittore londinese che a un certo punto della sua vita decide di smettere di scrivere. Egli vuole cambiare prospettiva di vita, lasciarsi la sua carriera alle spalle e ricominciare. Col passare dei giorni, in lui si insinua una sorta di disagio e acuta malinconia, sente la mancanza dello scrivere ma sa che indietro non si può tornare. Scrivere era ciò che lo faceva sentire vivo, per lui era facile come respirare ma da un pò di tempo non gli procurava lo stesso piacere. All’inizio del romanzo troviamo un Mr Gwyn annoiato e stanco ma con la voglia di ricercare qualcosa che lo spinga di nuovo a prendere le misure della sua vita. Con la complicità (anche se prova ancora delle remore) del suo agente e amico Tom e della bella e genuina Rebecca, egli arriverà alla decisione di scrivere ritratti. Il tutto nasce in un giorno di pioggia, quando costretto a ripararsi entra in una galleria e sarà proprio qui, affascinato dalle foto che decide di intraprendere la carriera di copista. 

Nella descrizione dell’allestimento della sala di copia, Baricco da il meglio di sé. Vi è una tale perfezione e minuziosità nella descrizione dei dettagli, da donare l’impressione di scorgere ad occhio nudo l’intera vicenda. La scelta delle lampadine ha destato in me meraviglia e stupore, ne sono rimasta piacevolmente colpita. E’ qualcosa a cui una persona, quotidianamente non pensa ma la luce irradiata da essa può influire sull’umore o sullo svolgimento delle attività. 

Persero molto tempo a divagare sulla natura delle lampadine, e Jasper Gwyn finì per scoprire un universo di cui non aveva mai sospettato l’esistenza. Gli piacque particolarmente venire a sapere che le forme delle lampadine sono infinite, ma sedici sono quelle principali, e per ognuna c’è un nome. Per un’elegante convenzione, sono tutti nomi di regine o principesse. Jasper Gwyn scelse le Caterina de’ Medici, perché sembravano lacrime sfuggite a un lampadario.

La prosa del libro ci risucchia in un vortice di magia, conquistandoci pagina dopo pagina. Nonostante, a primo impatto la trama possa apparire ai più banale o poco comprensibile, se ci si sforza di lasciare la mente libera di vagare, ogni impedimento alla lettura tenderà a crollare. Dietro ai suoi libri, c’è sempre molto di lui stesso, ognuno è un personaggio, è la storia di un libro. Lo capirà anche lo stesso Jasper, un uomo diverso alla fine del libro rispetto a quello che abbiamo conosciuto. Il suo cambiamento sarà dettato dalle persone che conoscerà, soprattutto dal “rapporto” con la comprensiva Rebecca, un tipo di legame difficile da spiegare. Non è il solito legame da etichettare, è più una connessione di anime, di sguardi che permette l’uno all’altro di leggersi dentro.

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“Di cosa siamo capaci, pensò. Crescere, amare, fare figli, invecchiare – e tutto questo mentre anche siamo altrove, nel tempo lungo di una risposta non arrivata, o di un gesto non finito. Quanti sentieri, e a che passo differente li risaliamo, in quello che sembra un unico viaggio”. 

L’originalità e la freschezza del romanzo lo rendono un libro piacevole e a suo modo rispecchiante della situazione che vive l’uomo oggi nei confronti della vita. Una sorta d’insoddisfazione che attanaglia l’uomo sempre alla ricerca della propria storia e della propria vocazione. Da inguaribile romantica forse avrei sperato in un finale diverso ma tutto sommato, credo sia da lasciare interpretare ai lettori. Questo libro mi ha accompagnato nel mio viaggio in autobus verso la casa della mia amica e devo dire che non potevo scegliere libro migliore. 


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